A cura di Laura Ricci
Oltre al chitridio che continua a decimare intere popolazioni di anfibi a livello globale, ora anche i serpenti sono a maggior rischio di estinzione a causa di in fungo patogeno.
Fra i molteplici agenti patogeni che possono affliggere i serpenti, negli ultimi anni sta destando particolare preoccupazione un fungo, Ophidiomyces ophiodiicola, responsabile di una patologia infettiva nota come Snake Fungal Disease (SFD).
Si tratta di un micete cheratinofilico appartenente all’ordine Onygenales, che si sviluppa nel suolo e che parassita esclusivamente gli ofidi: non ci sono molti dati sulla sua ecologia ma, qualora ci siano le condizioni ottimali (in letteratura come optimum termico sono citati i 25° e 9.0 come ph ideale ma può tranquillamente tollerare condizioni diverse) può persistere nell’ambiente per lunghi periodi (6).
In realtà la presenza di questo fungo è stata riscontrata fin dagli anni ’80 in animali detenuti in cattività, sia in Europa che in America.
Tuttavia, da una decina di anni a questa parte, il patogeno è stato purtroppo isolato anche in svariati esemplari selvatici dell’America Nord-Orientale (2006) dell’Europa (2010) (2) e dell’Australia ed attualmente è ritenuto responsabile, nel Nord-America, del declino di molte specie, comprese specie già ad alto rischio d’estinzione.
La prima evidenza della presenza di questo fungo, in animali selvatici, si è avuta su un maschio adulto di Elaphe obsoleta obsoleta, in Georgia (3).
Il fenomeno, sempre più preoccupante, ha spinto anche molti allevatori e detentori di rettili statunitensi a far testare i propri esemplari (in Europa, da aprile di quest’anno, a questo scopo è possibile rivolgersi a Laboklin).
La sintomatologia clinica del micete ricorda quella di altre infezioni fungine: possono presentarsi dermatiti, croste, noduli subcutanei, forme di disecdisi più o meno accentuata e frammentazione dello strato più superficiale delle squame (stratum corneum), hyperkeratosi delle squame e opacizzazione dell’occhio.
Spesso questi sintomi, soprattutto nella fase iniziale della SFD, sono particolarmente manifesti nella zona oculare o sulle squame ventrali, tuttavia possono tranquillamente estendersi o manifestarsi esclusivamente in altre aree del corpo.


La SFD è stata, fino ad ora, diagnosticata in circa 30 specie di ofidi, in molti casi presente in concomitanza ad altri miceti; particolarmente gravi paiono essere le sue conseguenze nei crotali (Crotalinae) (8) ma anche i Colubridi non ne sono esenti.
Non vi sono cure risolutive e l’unica procedura che fornisca una diagnosi certa è lo screening con PCR (rtq-PCR). Il tasso di mortalità è variabile da specie a specie ma ci si attesta, comunque, su range molto elevati (12)
Non ci sono dati sufficienti per sbilanciarsi su quale possa essere il continente di origine del fungo; ne viene comunque ipotizzata una generica genesi olartica (ovvero presso l’Ecozona olartica, area comprendente gran parte dell’emisfero boreale, esclusi i Tropici) (2).
In realtà, analisi molecolari (2) hanno permesso di chiarificare i legami filogenetici tra gli O. ophiodiicola europei ed americani svelando che si tratta di due cladi a sé stanti. Si pensa che il cambiamento climatico e la degradazione di molti habitat abbiano influito in maniera determinante nello sviluppo del ruolo patogeno del micete e quindi nel suo devastante impatto sule popolazioni selvatiche.
Dinamica che, d’altronde, si verifica anche con batteri, virus e parassiti di vario genere e che molto spesso, inoltre, diventano una problematica solo in animali di per se debilitati (2) (5) (8).
Inizialmente il micete era stato ascritto al genus Chrysosporium: rivelatosi differente a livello morfologico, colturale e genetico, rispetto alle altre specie fino ad allora note del genus, era stato classificato come C. ophiodiicola (3).
La nomenclatura attuale e la creazione del genus monotipico Ophidiomyces si deve ad uno studio del 2013 (4) mentre il suo genoma è stato codificato e riassemblato nell’ambito di uno studio del 2017 (7).
Il paper (2) che, per la prima volta, porta alla luce la presenza di O. ophiodiicola in Europa risale al 2017: in tale studio sono state esaminate sia carcasse che exuvie (33 carcasse e 303 exuvie), prelevate, fra il 2010 e il 2016, prettamente in Gran Bretagna (solo una delle exuvie, di una Natrix tassellata, proveniva dalla Repubblica Ceca).
Gli screening con rtq-PCR hanno rivelato la presenza del fungo in 26 degli animali presi in esame (24 Natrix natrix, 1 Vipera berus e la Natrix tassellata della Repubblica Ceca). Comunque, il ceppo europeo di questo fungo ha uno sviluppo molto più lento rispetto a quello del ceppo americano.
Senza voler creare allarmismi immotivati ma, più che altro, prendendo O. ophiodiicola come pretesto (soprattutto considerando che questo fungo è solo una delle tantissime patologie che possono interessare i serpenti e, a differenza di molte di queste, presenta una sintomatologia, individui asintomatici a parte, abbastanza evidente), può comunque essere utile sottolineare che bisognerebbe guardare con maggior cautela, rispetto a quanto noi terraristi siamo soliti fare, agli import di animali di cattura e al loro acquisto (senza voler qui esprimere, andando fuori tema, considerazioni etiche o di altra natura sulla pratica in sé).
Questo non solo per quanto riguarda le specie Nord-Americane, ma un po’per tutte le specie, considerando che, nel lungo iter che fa si che un animale arrivi sui banchetti delle fiere, esso ha certamente modo di venire in contatto con altre specie delle più svariate provenienze e di essere, quindi, un potenziale portatore, e vettore, di patogeni. O. ophiodiicola a parte e miceti a parte, basti pensare ai veri killer silenti delle collezioni degli erpetofili, i virus, alcuni dei quali possono non causare alcun tipo di sintomo per svariati anni (10).
Il discorso è troppo lungo e complesso per essere affrontato in questa sede (d’altronde, come detto in precedenza, anche per molti virus ne si discute l’effettivo ruolo patogeno), tuttavia è bene sottolineare ancora una volta, per tutte queste ragioni, l’importanza della quarantena dei nuovi animali che fanno il loro ingresso nei nostri allevamenti (pratica che, per quanto non ci permetta di scongiurare la presenza di molte patologie, è comunque una precauzione in più per evitare di compromettere la salute di più esemplari) nonché l’importanza di rivolgersi ad un valido medico veterinario, che ci possa consigliare come agire in base alla circostanza e che ci permetta di valutare con più chiarezza lo stato di salute, su tutti i fronti, dei nostri animali.
Infine, discorso rivolto ai terraristi anche appassionati di herping, ricordiamo sempre che sarebbe abominevole e paradossale, da parte nostra, andare a compromettere la salute delle popolazioni di animali selvatici: venendo costantemente a contatto con le più disparate specie che alleviamo, non possiamo permetterci di diventare potenziali vettori di patogeni e che questi ultimi si diffondano in natura.
Oltretutto non sappiamo come le specie nostrane possano reagire a determinati parassiti/batteri/virus/funghi: questi possono non rappresentare un problema per i nostri animali esotici ma nulla ci garantisce che così debba essere per quelli nostrani, che non sono mai venuti a contatto con questi patogeni e non hanno sviluppato verso di loro, quindi, conseguenti meccanismi di difesa. Va da se che, come è possibile una diffusione di patogeni che parte dai nostri animali verso i selvatici, la stessa cosa può verificarsi in senso opposto, ovvero vi è la possibilità che siano i selvatici ad essere portatori di non meglio precisati patogeni e che questi giungano al nostro allevamento.
Per tutte queste ragioni imponiamoci uno scrupoloso rispetto delle norme igienico sanitarie basilari: non utilizziamo mai, durante le uscite di herping, ganci o altro genere di attrezzatura che abbia avuto modo di venire a contatto con gli animali che alleviamo; ricordiamoci di utilizzare amuchina/steramina/candeggina/prodotti disinfettanti e, qualora ci capiti di manipolare esemplari selvatici (fermo restando che questa pratica andrebbe evitata, se non strettamente necessario) avvaliamoci di guanti in lattice monouso.
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