a cura di Laura Ricci
Precisazioni terminologiche
Con il termine viviparità si definisce un meccanismo riproduttivo che prevede la nascita di piccoli già formati; ad essa si contrappone l’oviparità, che prevede la deposizione di uova.
Negli organismi ovovivipari, invece, assistiamo alla formazione di uova che schiudono nel corpo materno; la madre dà alla luce piccoli già formati, come avviene per i vivipari sensu strictu.
Tuttavia queste definizioni “classiche” delle varie strategie riproduttive non tengono conto, o non valorizzano appieno, le modalità di nutrizione dell’embrione e i suoi rapporti con la madre.
Sarebbe meglio utilizzare altri termini per gli organismi che danno alla luce individui autonomi: possiamo parlare di viviparità matrotrofica (viviparità vera e propria) oppure di viviparità lecitotrofica (ovoviviparità). La prima tipologia prevede la nutrizione dell’embrione tramite i tessuti materni (placenta, con specializzazioni e modalità molto variabili), la seconda tramite le riserve vitelliniche (tuorlo). (1)(2)(3)
Per quanto riguarda i rettili non sempre sono note, per tutti i taxa, le modalità di nutrizione dell’embrione e quindi, per molti di essi, si parla di una generica “viviparità”. Comunque, la maggior parte dei rettili vivipari sono vivipari lecitotrofici (ovovivipari) ma non mancano gli esempi di specie con viviparità matrotrofica, dotate di placenta. Anzi, le tipologie di placenta, che nulla hanno da invidiare, per complessità, a quelle dei mammiferi (Eutheria), presentano addirittura una maggiore diversificazione. (4)(19)

Cause dell’evoluzione della viviparità
In Squamata (unico Ordine di Reptilia presso il quale si sia evoluta la viviparità, tutti gli altri sono esclusivamente ovipari) riscontriamo tutte e tre le modalità riproduttive con una incidenza dei taxa vivipari che si aggira intorno al 20% (circa 1500 specie) (4). Si stima che la viviparità si sia evoluta presso questo Ordine in oltre cento circostanze diverse e non mancano i casi di una ri-evoluzione dell’oviparità in animali vivipari(2)(6)(4)(11). Fino a non molti anni fa si reputava si trattasse di una comparsa “recente”(tardo Pleistocene), se paragonata alla viviparità dei mammiferi (Cretaceo), tuttavia successivi record fossili hanno portato alla luce l’esistenza della viviparità anche in alcuni Archosauromorpha (20)(21), retrodatando la nascita della viviparità e collocandola, come per i mammiferi, durante il Cretaceo (145 Ma). Si reputa, attualmente, che la viviparità sia più antica dell’oviparità e che sia quest’ultima ad essere una condizione derivata. Comunque, un così alto numero di origini indipendenti relative a questa modalità riproduttiva è il più alto che si riscontri tra tutti i vertebrati e rende gli squamati un modello ideale per lo studio, sotto molteplici aspetti, della viviparità. (4)(2)
Un altro aspetto singolare ed interessante è il fatto che in svariate circostanze la viviparità si sia evoluta a bassi livelli tassonomici: spesso, in uno stesso genus, riscontriamo specie vivipare e specie ovipare e addirittura, nell’ambito della medesima specie, sottospecie vivipare ed altre ovipare, come nel caso della pluri-studiata Zootoca vivipara (11)(2).
Le cause che hanno portato all’evoluzione della viviparità non sono ancora del tutto chiare e sono state elaborate differenti teorie/modelli testati, nel corso degli anni, avvalendosi di prove empiriche, modelli statistici ed analisi molecolari. In particolare a partire dagli anni ’70 (per quanto gli studi abbiano avuto origine già nel XIX° secolo) riscontriamo un picco di interesse accademico relativo agli squamati vivipari, spesso mirato ad approfondire, indirettamente, la viviparità nei mammiferi.
Per comprendere il fenomeno ne andrebbe analizzato il rapporto costi/benefici, alla base di ogni processo evolutivo. In linea generale la viviparità presenta vantaggi e svantaggi, sia per la femmina che per la prole, rispetto all’oviparità. Da un lato le uova deposte dagli ovipari sono, in via potenziale, più soggette alla predazione e alle variazioni del clima; dall’altro la gestazione ha un elevato costo metabolico per le femmine gravide. Queste inoltre, incrementando la termoregolazione e la massa corporea (che le rallenta) possono essere più facilmente predate.
In realtà, più che cercare un modello che si adatti a tutte le circostanze e cladi andrebbero analizzati, caso per caso, una serie di fattori ecologici, ambientali e biologici propri ed unici delle specifiche circostanze e specie. Ad oggi l’argomento necessita di ulteriori approfondimenti; ciò nonostante non si può negare l’esistenza di determinate conditio sine qua non e “tendenze” che sembrano accomunare i vari casi di insorgenza della viviparità.
La “teoria del clima freddo” (Cold-ClimateHypothesis) è stata la prima teoria, cronologicamente, proposta in merito (Mell, 1929) (5) (2), nonché la più universalmente accettata. L’incidenza dei taxa vivipari, in rapporto a quelli ovipari, in zone caratterizzate da clima freddo ed altitudine elevata è innegabile ed ampiamente documentata (2)(5). Non solo: studi genetici dimostrano che gli squamati di “recente” evoluzione che popolano appunto habitat freddi sono tutti vivipari. La teoria sostiene che, tramite la ritenzione degli embrioni e il loro sviluppo in utero, vengano garantite delle condizioni igro-termiche più idonee al loro sviluppo, cosa che non avverrebbe presso un sito di deposizione troppo freddo, ove le uova potrebbero non arrivare affatto alla schiusa. Inoltre, poiché una maggiore temperatura velocizza lo sviluppo embrionale (corpo della madre più caldo rispetto all’ambiente) i neonati hanno modo di nascere prima dell’arrivo della stagione fredda, cosa che permette loro di potersi nutrire a sufficienza per affrontare l’ibernazione. Viene da molti sostenuto, in realtà, che sia la madre, attivamente, a stabilire e regolare le condizioni igro-termiche che sperimentano gli embrioni (Maternal-ManipulationHypothesis) (1)(2) durante la gestazione. Mediante la termoregolazione, quest’ultima controlla la propria temperatura interna e la rende costante, preparando un terreno ideale ad un corretto sviluppo degli embrioni. L’incremento del tempo che le madri vivipare trascorrono in termoregolazione, come anche la reale maggiore costanza dalla loro temperatura interna, sono fenomeni noti per differenti taxa(1)(2). Questo modello ben si applica anche ai casi di viviparità in Amphibia, differentemente da quanto accade per il Cold-Climate Model (che comunque, rimanendo in Squamata, rimane il modello che trova maggiore riscontro). Per quanto concerne invece la latitudine e la sua rilevanza nell’evoluzione della viviparità, l’argomento è dibattuto. La statistica significanza dell’altitudine in rapporto alla viviparità, invece, troverebbe ragion d’essere, oltre che per il discorso “clima freddo”, poiché la carenza di ossigeno delle altitudini elevate comprometterebbe lo sviluppo degli embrioni, con la conseguenza che ritenerli tramite la viviparità andrebbe a costituire un grosso vantaggio per il loro sviluppo. Ci sono, però, alcuni limiti e contraddizioni insiti nella Cold-ClimateHypothesis. Innanzitutto considerare l’attuale distribuzione geografica dei taxa vivipari, distribuzione che evidenzia appunto la loro preponderanza in ambienti freddi, è fuorviante e bisognerebbe piuttosto analizzare dove vivessero i loro vari progenitori (2)(4). In secondo luogo e soprattutto, per quanto vi siano più gruppi vivipari in zone fredde, esistono anche specie vivipare che popolano zone temperate, tropicali e desertiche. Negli anni passati, come “corollario” del Cold-Climate Model, è stato ipotizzato che in generale le condizioni ambientali estreme, siano esse le temperature fredde o troppo calde, o la troppa umidità etc., potrebbero favorire l’evoluzione della viviparità. Sono state proposte molte altre spiegazioni, in realtà, al fenomeno, ma nessuna di esse sembra trovare risposte soddisfacenti a livello generale, pur magari adattandosi a singoli casi e specie (si è notato ad esempio che, statisticamente, la viviparità è più comune negli animali velenosi o nelle specie di grandi dimensioni, come anche in quelli dall’ecologia marina, arboricola e fossoria). Queste teorie sono accomunate dalla concezione che l’utero della femmina rappresenti un “luogo sicuro” rispetto al sito di deposizione: ad esempio, una specie dall’ecologia acquatica potrebbe trovare difficoltoso dover deporre a riva e lo sviluppo in utero permetterebbe di aggirare la problematica. Oppure, un serpente di grandi dimensioni e al tempo stesso velenoso viene ad essere, generalmente, poco soggetto alla minaccia di predazione, dunque per gli embrioni è più sicuro svilupparsi nel corpo della madre. Ad oggi, però, sembra che principalmente solo i modelli del clima freddo e della manipolazione materna, in Squamata, riescano a dare risposte soddisfacenti ed univoche (con le pur presenti eccezioni). Per quanto empiricamente le varie teorie abbiano una loro logica non trovano riscontro, a livello statistico, nei casi reali di viviparità, o possono servire a spiegare una limitata percentuale di situazioni in cui la viviparità si è evoluta.
Viene sostenuta anche la relazione tra le cure parentali e l’emergere dei comportamenti sociali sensu latu e l’evoluzione della viviparità (1)(2)(4)(24). In alcuni casi, l’insorgere delle cure parentali precede quello delle viviparità e non sono rari i casi in cui esse si riscontrino sia nei taxa vivipari che in quelli ovipari filogeneticamente vicini; in altri assistiamo al fenomeno inverso: un interessante studio di quest’anno, basandosi su analisi molecolari effettuate so oltre 1000 specie di squamati, ha messo in evidenza come i taxa che praticano cure parentali siano anche vivipari (si possono citare, fra i vari, gli eclatanti esempi della famiglia Scincidaee della Subfamiglia Crotalinae).
Ad ogni modo, l’insorgere della viviparità e il passaggio oviparità-viviparità spesso sono processi graduali, che hanno luogo dopo la comparsa e stabilizzazione di una serie di proto-adattamenti. Si è notato come, in alcuni taxa ovipari, si allunghino i tempi di ritenzione delle uova, le quali, una volta deposte, schiudono in pochi giorni. Un altro comune proto-adattamento consiste nell’assottigliamento del guscio delle uova (2)(11)(12)(13)(14)(15).
(19)
Squamati vivipari
Come premesso, poiché non abbiamo informazioni sufficienti per sbilanciarci sulla specifica tipologia di viviparità di tutti gli squamati che sappiamo dare alla luce individui autonomi, useremo, per le specie di seguito elencate, il termine “viviparità”, precisando comunque, qualora siano note, le modalità specifiche di nutrizione dell’embrione e di sviluppo dei tessuti preposti a questo scopo.
Riscontriamo specie vivipare in tutti e tre i Sottordini di Squamata (Amphisbaenia, Sauria e Serpentes). Le anfisbene sono il clade meno studiato, da questo punto di vista, tuttavia si stima che la viviparità abbia, al suo interno, più di una origine filogeneticamente a se stante.
Per quanto concerne i sauri, non si può che iniziare questo excursus dei casi più particolari menzionando per prima Zootoca vivipara (11)(12)(13)(14)(15)(2)(5)(25): su questa specie sono stati condotti diversi studi nel corso degli anni, che ci permettono di approfondire il discorso “viviparità” sotto svariati aspetti, da quello evolutivo/filogenetico a quello più strettamente fisiologico. Inoltre questa lucertola, dalla distribuzione euroasiatica, è, fra tutti i rettili, la specie che si spinge più a Nord (e quindi, spesso popola zone dal clima molto rigido). Nella maggior parte dei suo areale Z. vivipara è vivipara, tuttavia vi sono anche, distribuite più a Sud-Ovest, popolazioni ovipare, evolutesi più di recente. Nell’ambito di alcuni test di laboratorio sono stati anche prodotti degli ibridi fertili tra popolazioni vivipare ed ovipare, i quali hanno presentato caratteri intermedi e proto-adattamenti alla viviparità: le femmine hanno manifestato una prolungata ritenzione delle uova, uova dal guscio particolarmente sottile in rapporto agli standard di specie. Al momento vi sono due sottospecie ovipare (Z. vivipara carniolica e Z. vivipara louislantzi): tuttavia, almeno per quanto concerne Z. v. carniolica, non vi sono ibridi naturali e anzi la sottospecie ha una sua filogenesi distinta, tant’è che ne è stata proposta, recentemente, l’elevazione a specie (22). In questo caso possiamo parlare di viviparità lecitotrofica.
Sempre in ambito Sauria, vi sono molte specie vivipare nella famiglia degli Anguidae (con l’italiano Anguis veronensis e il cugino A. fragilis vivipari) e molti taxa ovipari hanno sviluppato cure parentali (cova delle uova da parte della madre): questo nesso fa pensare che, almeno nel caso di specie, la cova delle uova costituisca un proto-adattamento alla condizione vivipara. Invece, le famiglie Anniellidae e Xenosauridae, entrambe derivate da Anguidae, sono interamente vivipare.

Una menzione meritano anche i membri dei genus Phrynosoma e Sceloporus, entrambi facenti parte della famiglia Phrynosomatidae: nel primo genere riscontriamo specie vivipare e specie ovipare (in realtà, anche singole popolazioni montane, vivipare, a differenze dei conspecifici) e, statisticamente, anche in questo caso la teoria del clima freddo trova giustificazione, essendo i taxa vivipari distribuiti ad alte altitudini. Uno studio (10) condotto su varie specie del genus ci permette di notare come la latitudine non abbia rilevanza: notiamo che la viviparità si manifesta in specie tropicali e non indiscriminatamente (10) (2). Per quanto riguarda il genere Sceloporus, invece, per quanto al momento la classificazione tassonomica di alcune specie sia soggetta ad interpretazioni, il genus ci offre testimonianza di specie geneticamente molto vicine che, tuttavia, presentano differenti modalità riproduttive (2)(18).
La viviparità sembra essere piuttosto comune presso la famiglia Scincidae, ove riscontriamo molte e differenti origini per questa modalità riproduttiva. Interessante è il caso di Pseudemoia entrecasteauxii (10) che ci permette di far luce su alcuni degli aspetti biologici più complessi ed elaborati della viviparità: in questa specie è presente una placenta non invasiva di tipo epitelio-coriale (come in alcuni Mammiferi euteri). Questa tipologia di placenta prevede che l’epitelio dei corion, una delle membrane embrionali, sia in diretto contatto con la mucosa dell’utero (2)(19)(16). Sempre fra gli scinchi, presentano placente complesse anche i generi Mabuia, Pseudomabuia e Chalcides (19). Molti scinchi praticano cure parentali e hanno strutture sociali piuttosto complesse.
Caso a se stante costituiscono i gechi: la viviparità compare soltanto a sud dell’Equatore, in Nuova Caledonia e Nuova Zelanda, presso la Subfamiglia Diplodactylinae, ove riscontriamo viviparità lecitotrofica(2).
In realtà la viviparità è riscontrabile quasi tutte le famiglie dei sauri e sembra essersi manifestata, con sporadiche eccezioni, in aderenza al Cold-Climate Model. In Serpentes, invece, la viviparità è presente in molti taxa primitivi (famiglie Anilidae, Uropeltidae, molti Scolecophidiae tutti gli Homalopsinae) e, in particolare, in tutti i Boinae e in gran parte dei Crotalinae e Viperinae (viviparità lecitotrofica). Gli Azemiopinae, clade basale dei Viperidi, sono invece ovipari. Parimenti questa modalità si è manifestata in Elapidaee nei derivati Hydrophiinae. Vi sono anche molti colubridi vivipari, in Italia un caso emblematico è quello di Coronella austriaca e Coronella girondica. La prima, vivipara, effettivamente ha un areale di diffusione molto più esteso della cugina C. girondica e si rinviene, in rispetto al Cold-Climate Model, ad altitudini maggiori (ma anche a latitudini maggiori). È vivipara anche l’indiana Coronella brachyura. Fra i colubridi, particolare è il caso di Elaphe dione che, pur essendo ovipara, presenta una prolungata ritenzione delle uova (variabile a seconda delle localities di provenienza degli esemplari). Tali uova schiudono poi in pochi giorni. Non è casuale che questa specie abbia un range distributivo ampio e sia presente, in particolare in Asia, in zone dal clima rigido. Una simile situazione si riscontra in Opheodrys vernalis, le cui popolazioni montane ritengono le uova molto più a lungo.
Interessantissimo è, infine, il caso di Haldea striatula, un colubride diffuso negli Stati Uniti sudoccidentali, che manifesta placentotrofia (tipologia di matrotrofia) facoltativa: gli embrioni di alcune popolazioni si sviluppano nutrendosi delle riserve vitelline (lecitotrofia), mentre in altri gruppi assistiamo appunto allo sviluppo di una placenta (1).

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